Ieri, 2 Giugno, l’Italia ha celebrato la ricorrenza della Festa della Repubblica. Nello stesso giorno, nel 1946 si tenne il Referendum istituzionale indetto a suffragio universale con il quale gli italiani venivano chiamati alle urne per esprimersi su quale forma di governo dare al Paese dopo la liberazione dal nazifascismo e la fine della Seconda Guerra Mondiale. Dopo 85 anni di monarchia, con 12.718.641 voti l’Italia divenne Repubblica. Nei mesi successivi i padri e le madri costituenti furono impegnati nella scrittura di quella che sarà la nostra Costituzione. Ogni tanto ripassare la storia è importante, anche per meglio comprendere ed analizzare le situazioni attuali in cui ci si trova. Cosa dice la Costituzione relativamente al mondo del lavoro? L’art.1 della stessa recita:
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”
Il lavoro è un diritto sociale e come dovere verso una comunità che deve crescere in tutte le sue componenti. L’art. 3 recita che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Lo Stato quindi deve intervire. E deve farlo in modo deciso, avendo le idee chiare. Dai dati contenuti nel rapporto “Disuguitalia: ridare valore, potere e dignità al lavoro” emerge che prima del 2020 un lavoratore su 8 era in stato di povertà lavorativa. In Italia si lavora e si rimane poveri, anche da lavoratori, ed il rischio è più elevato per le donne.
Da un altro report di Oxfam Italia emerge che nel Paese esiste un serio problema di dignità del lavoro. Un lavoratore su otto vive in una famiglia con un reddito disponibile insufficiente a coprire i propri fabbisogni di base. Se un impiego non basta per sopravvivere significa che il mercato serve a una parte sola; tale problema dovrebbe sollevare un dibattito politico enorme, e invece rimane tra le pagine dei giornali, quando va bene, e nella desolazione delle famiglie. Oxfam critica anche il Pnrr perché punta su costruzioni, edilizia, commercio. In questi settori i posti di lavoro tendono ad essere poco qualificati, precari e mal retribuiti. Quindi queste risorse sono destinate ad incentivare imprese senza condizionalità in termini di innovazione, sostenibilità, tenuta dei livelli occupazionali e qualità del lavoro.
L’articolo 36 della Costituzione Italiana recita «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa». Ma come ci si salva dalla mancanza di lavoro, o peggio ancora da un lavoro che non fa uscire dalla povertà? Dai dati del ministero del lavoro emerge che due milioni di lavoratori in Italia si sono dimessi nel 2021. Il fenomeno continua a crescere nel 2022, mettendo a nudo i deficit di un antiquato modo di fare impresa e di organizzazione neoliberista del lavoro.
Esso interessa il 60% delle aziende italiane e riguarda soprattutto i giovani fra i 26 e i 35 anni, perlopiù nel Nord Italia. Ricercano condizioni economiche più soddisfacenti, hanno voglia di sperimentare lavori più creativi e stimolanti e sperano di trovare un migliore equilibrio fra vita privata e lavoro (work-live balance). Nessun essere umano dovrebbe essere costretto a scegliere tra queste cose, tutte ugualmente importanti per una vita sana e per il benessere della persona. Le aziende dovrebbero comprendere che una riorganizzazione su larga scala del tempo di vita e di lavoro sarebbe utile anche per contrastare gli alti tassi di disoccupazione giovanile. In Italia infatti il numero dei giovani che non studiano e non cercano lavoro (Neet) è tra i più alti in Europa.