Startup, vita non facile in Italia

Startup, vita non facile in Italia

Startup, vita non facile in Italia

La vita e la nascita delle nuove startup non è facile, soprattutto se le regole vengono cambiate in corsa senza alcun tipo di avvertimento. Polemizza così Peter Kruger che ha lavorato per bene due anni convincendo prima Startupbootcamp, uno dei maggiori incubatori europei per aziende tecnologiche, poi ideando un programma dedicato alle startup del cibo, ed arruolando colossi come Barilla e Monini. Dopo aver convinto ed assicurato gli investitori che in Italia le cose stavano cambiando, si è visto sbattere le porte in faccia perché il suo ufficio attrezzato raggiunge soltanto i 420 mq, circa un centinaio di metri quadri in meno che servono per beneficiare dei vari incentivi fiscali e occupazionali garantiti. Ebbene sì, perché il Ministro dello Sviluppo Economico ha cambiato idea ed in corsa d’opera ha aggiunto dei “requisiti” per potersi accreditare come incubatore certificato.

Tutto ciò fa pensare a “Y Combinator”, incubatore degli arbori di Dropbox e AirBnb, che nel loro modus operandi neanche offrono un ufficio fisico alle startup, poiché le giovani imprese tecnologiche hanno bisogno di tutt’altro, ossia capitali, contatti, formazione e mentori.

In totale sono due le liste dei requisiti, create ad hoc per scoraggiare i furbi, una sui servizi offerti (come il numero delle startup incubate e gli investimenti ottenuti) l’altra sulla struttura ( internet e convenzioni universitarie), ma con l’elemento vincolante dei 500 mq molte aziende incubatrici si sono ritrovate in difficoltà come spiega il capo della Innogrow di Milano: “Siamo piccolini, ma ospitiamo 17 startup, con altre 2 in entrata”. Ammette che i benefici della certificazione per lui sono decisivi, ma trovare di punto in bianco uno spazio più grande a Milano non è facile. “Mi sembra una follia confezionata a uso e consumo delle grosse strutture” denuncia Roggeri.

Dopo una riflessione ed un’analisi attenta sulla legge italiana a favore delle startup varata dal governo Monti si evince che il punto debole è proprio il continuo aggiornamento che limita le vere aziende con criteri troppo stretti o troppo larghi.

“All’estero si mettono in campo strumenti per tutti, lasciando che sia il mercato a selezionare i migliori”, Kruger rimane esterrefatto da l’evoluzione di tutto ciò e afferma che se non dovessero trovare una soluzione, saranno costretti ad andare via dall’Italia, soluzione che già hanno adottato in molti.

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